On the last day of my second CS Retreat, I made this little drawing.
I was amazed by the volume of both real and internal noises that had occupied my attention in the days spent in silence.
I often pause to think about the literal meaning of a word and savor the paradox that emerges when I compare meaning with reality.
The silence I encountered in these experiences is peculiar: it is not an absolute state, but rather an agreement between individuals who dedicate a specific time and their bodies to a common mission, consisting of omitting unnecessary words and prioritizing inner and outer listening. The space created becomes a powerful slide into the beloved practice of Contact Improvisation.
This time, thanks to the time spent outdoors, we navigated through a silence rich with environmental and animal sounds; with the help of the lazy summer heat and the group’s energies, it was also an undisciplined silence. I still smile thinking of the roar of farm machinery rising from the valley during morning meditation, the chickens from the nearby farm singing as they laid eggs during our half-hour of silence in the circle, and some whispered verbal exchanges on surreal topics in the room just before the afternoon siesta.
Despite this disconnect between the word “silence” and reality, the positive impact of this agreement on CI practice remains tangible to me. Outside the platform/room, the focus is on how sounds and thoughts flow through us when distractions are fewer than usual, and it then shifts to the body and movement, which can finally become the primary means of communication. I feel that the dances here are closer to improvisation, it seems like we allow ourselves more, we explore more. We apply a greater sense of equanimity to what happens on the platform/in the room, just like the one I instinctively used with the tractor sounds, embracing them in our collective silence.
L’ultimo giorno del mio secondo CS Retreat ho fatto questo disegnino.
Ero stupita dal volume di rumori reali e interiori che avevano occupato la mia attenzione nei giorni appena passati in silenzio.
Spesso mi fermo a pensare al significato letterale di una parola e gusto il paradosso che emerge quando confronto significato e realtà.
Il silenzio che ho incontrato in queste esperienze è particolare: non è uno stato assoluto, ma un accordo tra individui che dedicano un chiaro tempo e il loro corpo a una missione comune, consistente nell’omettere la parola superflua e dare priorità all’ascolto interiore ed esteriore. Lo spazio che si crea è un potente scivolo verso l’amata pratica della Contact Improvisation.
Questa volta, complice il tempo passato all’aperto, abbiamo navigato in un silenzio ricco di rumori ambientali e animali; complici l’ozioso caldo estivo e le energie del gruppo, è stato anche un silenzio indisciplinato. Sorrido ancora pensando ai rombi dei macchinari agricoli che salivano dalla valle durante la meditazione mattutina, ai canti delle galline del podere vicino quando facevano l’uovo durante la nostra mezzora di cerchio di silenzio, ad alcuni scambi verbali su temi surreali sussurrati in camera poco prima della siesta pomeridiana.
Nonostante questo scollamento tra la parola “silenzio” e la realtà, rimane per me tangibile la ricaduta positiva di questo accordo sulla pratica della CI. Fuori dalla pedana/sala l’accento è posto sul modo in cui i suoni e i pensieri ci attraversano quando le distrazioni sono meno del consueto, e si sposta poi sul corpo e sul movimento che possono finalmente diventare i mezzi privilegiati di comunicazione. Ho la sensazione che le danze qui siano più vicine all’improvvisazione, mi sembra che ci permettiamo di più, esploriamo di più. Applichiamo a ciò che accade in pedana/sala un maggior senso di equanimità, proprio come quello che istintivamente ho adoperato con i suoni del trattore abbracciandoli nel nostro silenzio collettivo.